30 October 2024

VALUTAZIONE COMMISSIONE EUROPEA SU REGISTRAZIONE DI UNA IG: I PRINCIPI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA NEL CASO «ÎLE DE BEAUTÉ»

Nel numero 1/2023 della newsletter si era approfondita l’importante pronuncia Tribunale UE 12 luglio 2023, in causa T-34/22, relativamente alla richiesta, da parte del Cunsorziu di i Salamaghji Corsi – Consortium des Charcutiers Corses, di registrazione dei nomi «Jambon sec de l’Île de Beauté», «Lonzo de l’Île de Beauté» e «Coppa de l’Île de Beauté» come Indicazioni geografiche protette.

In breve ricordiamo i fatti di causa al fine di ricostruire il quadro su cui la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi:

  • Nel maggio 2014, le denominazioni «Jambon sec de Corse»/«Jambon sec de Corse – Prisuttu», «Lonzo de Corse»/«Lonzo de Corse – Lonzu» e «Coppa de Corse»/«Coppa de Corse – Coppa di Corsica» vengono registrate come denominazioni di origine protetta, rispettivamente con i regolamenti di esecuzione (UE) della Commissione n. 581, 580 e 582 del 28 maggio 2014
  • Nel dicembre 2015, il Cunsorziu di i Salamaghji Corsi – Consortium des Charcutiers Corses presenta alle autorità nazionali francesi sette richieste di registrazione come indicazioni geografiche protette dei nomi «Jambon sec de l’Île de Beauté», «Lonzo de l’Île de Beauté», «Coppa de l’Île de Beauté», «Saucisson sec de l’Île de Beauté», «Pancetta de l’Île de Beauté», «Figatelli de l’Île de Beauté» e «Bulagna de l’Île de Beauté»
  • Nell’aprile 2018, il ministro dell’agricoltura e dell’alimentazione e il ministro dell’economia e delle finanze adottano i decreti di omologazione dei sette disciplinari di produzione, ai fini della loro trasmissione, avvenuta nell’agosto 2018, alla Commissione europea per la registrazione come indicazioni geografiche protette
  • Nel giugno 2018, le Syndicat de défense et de promotion des charcuteries corses «Salameria Corsa», titolare dei disciplinari delle DOP «Jambon sec de Corse Prisuttu», «Lonzo de Corse Lonzu» e «Coppa de Corse Coppa di Corsica», chiede al Consiglio di Stato francese l’annullamento dei decreti di omologazione dei disciplinari delle produzioni «Jambon sec de l’Île de Beauté», «Lonzo de l’Île de Beauté» e «Coppa de l’Île de Beauté».
  • Nel dicembre 2019 e nel febbraio 2020, il Consiglio di Stato francese rigetta i ricorsi aventi a oggetto l’annullamento dei decreti di omologazione dei suddetti disciplinari «Jambon sec de l’Île de Beauté», «Lonzo de l’Île de Beauté» e «Coppa de l’Île de Beauté»
  • Nell’ottobre 2021, la Commissione europea, dopo aver trasmesso nel 2019 e nel 2020 richieste di chiarimenti alle Autorità francesi, respinge le domande di protezione come indicazioni geografiche dei nomi «Jambon sec de l’Île de Beauté», «Lonzo de l’Île de Beauté» e «Coppa de l’Île de Beauté»
  • Nel luglio 2023, a seguito del ricorso di annullamento della decisione della Commissione proposto dal Cunsorziu di i Salamaghji Corsi – Consortium des Charcutiers Corses e dalle aziende interessate, il Tribunale dell’Unione europea rigetta la domanda di annullamento.

A fronte del ricorso proposto dai soccombenti, la Corte di Giustizia, nel confermare le argomentazioni del Tribunale UE, ha stabilito principi di notevole importanza, i quali, benché fondati sul passato regolamento (UE) 1151/2012, costituiscono argomentazioni di rilievo anche nel contesto normativo ora disegnato dal regolamento (UE) 2024/1143.

I motivi di ricorso

A sostegno della loro impugnazione, i ricorrenti deducono quattro motivi:

  1. Il primo motivo verte sulla violazione degli articoli 7 e 13 del regolamento n. 1151/2012, in quanto il Tribunale avrebbe consentito alla Commissione di respingere una domanda di registrazione sulla base dell’articolo 13 del regolamento stesso. Il Tribunale avrebbe erroneamente dichiarato che la Commissione è competente a verificare l’esistenza di una violazione della protezione dei nomi registrati contro qualsiasi evocazione prevista all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1151/2012, sebbene l’articolo 13, paragrafo 3, di tale regolamento riservi tale competenza agli Stati membri. Così statuendo, il Tribunale avrebbe ampliato il numero delle condizioni di ammissibilità alla registrazione previsti all’articolo 7 di detto regolamento, includendovi erroneamente l’esame del requisito di cui all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, vale a dire che il nome di cui è chiesta la registrazione come IGP non violi la protezione contro l’evocazione. Inoltre, il Tribunale si sarebbe limitato a confermare l’erronea affermazione della Commissione, secondo cui l’utilizzo nel commercio dei nomi oggetto delle domande di registrazione era illegittimo, sebbene tale istituzione non disponesse degli elementi che le consentono di valutare le condizioni in cui sono commercializzati i prodotti interessati da tali nomi. L’errore di diritto così commesso dal Tribunale porterebbe inoltre a vietare qualsiasi coesistenza tra una DOP e una IGP.
  2. Il secondo motivo verte sulla violazione degli articoli 49, 50 e 52 del regolamento, in quanto il Tribunale avrebbe autorizzato la Commissione a eccedere i limiti delle proprie competenze. La competenza della Commissione sarebbe limitata a verificare che le autorità nazionali abbiano trasmesso fascicoli completi senza commettere errori manifesti di valutazione in ordine alle condizioni di ammissibilità dei nomi che sono oggetto di tali domande. Secondo i ricorrenti, non spetterebbe alla Commissione sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali, a maggior ragione qualora il motivo di diniego invocato da tale istituzione sia già stato respinto da un giudice nazionale in forza di una decisione passata in giudicato
  3. Il terzo motivo verte sulla violazione dell’articolo 50 del medesimo regolamento, nonché del principio generale di buona amministrazione, in quanto il Tribunale ha statuito che la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione le valutazioni delle autorità e dei giudici nazionali
  4. Il quarto motivo verte sulla violazione degli articoli 7 e 13 del regolamento e sull’obbligo di motivazione delle sentenze. Il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel dichiarare che una sinonimia tra due denominazioni comporta necessariamente un’evocazione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b) del regolamento. In tal senso, la sinonimia delle denominazioni non sarebbe di per sé sufficiente a comportare un rischio di evocazione, dato che una siffatta constatazione sarebbe possibile solo sulla base di una valutazione globale dei fatti risultanti dal fascicolo. Inoltre, il Tribunale avrebbe erroneamente accolto la valutazione della Commissione secondo cui solo un pubblico particolarmente accorto conoscerebbe le differenze qualitative tra i prodotti i cui nomi sono protetti come DOP e quelli i cui nomi sono oggetto di una domanda di registrazione come IGP; infatti, la differenza di prezzo tra i prodotti interessati consentirebbe ai consumatori di distinguerli.

Gli approdi della Corte di Giustizia

Sul motivo sub 2, ritenuto prioritario da parte della Corte nella trattazione delle doglianze, la sentenza stabilisce come, nell’ambito della ripartizione delle competenze fra autorità nazionali e Commissione europea, tanto la formulazione dell’articolo 49, paragrafo 2 quanto quella dell’articolo 50, paragrafo 1 del regolamento prevedono che si debba procedere all’esame delle domande di registrazione sia da parte delle autorità nazionali quanto da parte della Commissione, con «mezzi appropriati», di cui la normativa non definisce la nozione. Pertanto, secondo la Corte, viene lasciato alla Commissione il compito di valutare la natura e la portata di tali mezzi, cosicché i ricorrenti non possono sostenere che l’esame effettuato dalle autorità nazionali, ai sensi dell’articolo 49, paragrafo 2 del regolamento, sia vincolante per la Commissione.

Lo stesso articolo 50, paragrafo 1 precisa che la Commissione esamina se le domande di registrazione siano giustificate e se soddisfino le condizioni previste da regolamento stesso: da tale disposizione non risulta, secondo la sentenza della Corte, che l’esame delle condizioni di registrazione a opera della Commissione sia limitato, in qualsiasi modo, dall’esame iniziale condotto dalle autorità nazionali. Il Tribunale ha quindi legittimamente stabilito che la Commissione non è vincolata dalla valutazione delle autorità nazionali e che la stessa dispone, per quanto riguarda la sua decisione di registrare un nome come IGP, di un margine di valutazione autonoma.

Tale potere autonomo di valutazione della Commissione è corroborato, da un lato, dalla lettura del considerando 19 del regolamento, il quale enuncia che la garanzia del rispetto uniforme nell’intera Unione dei diritti di proprietà intellettuale connessi ai nomi protetti nell’Unione è una priorità che può essere conseguita più efficacemente a livello di Unione. Invero, la Commissione è investita, nell’ambito della realizzazione di tale obiettivo, del potere di garantire l’applicazione uniforme delle condizioni di registrazione, di modo che, in mancanza di un potere autonomo di decisione al riguardo, tale istituzione non sarebbe in grado di impedire che tali condizioni di registrazione ricevano un’applicazione differenziata all’interno degli Stati membri.

D’altro lato, il considerando 58 del regolamento precisa che le domande sono esaminate dalle autorità nazionali, nel rispetto di disposizioni comuni minime comprendenti una procedura nazionale di opposizione. Secondo questo stesso considerando, la Commissione procede successivamente «all’esame delle domande per assicurarsi che esse non contengano errori manifesti e per garantire che sia tenuto conto del diritto dell’Unione e degli interessi dei soggetti interessati al di fuori dello Stato membro di presentazione della domanda».

Orbene, se l’esame delle domande di registrazione a opera della Commissione dovesse essere limitato, come sostengono i ricorrenti, alla verifica della completezza dei fascicoli e dell’assenza di errori manifesti, tale istituzione non sarebbe in grado di procedere all’«esame» previsto dal considerando 58 del regolamento n. 1151/2012. Nell’ambito di tale esame, non si può impedire alla Commissione di verificare la conformità di tale domanda alle condizioni di registrazione stabilite da detto regolamento, come richiesto dall’articolo 50, paragrafo 1, del medesimo. Ciò è corroborato dall’importanza che i termini di tale considerando attribuiscono al rispetto, sia da parte della domanda di registrazione sia da parte delle autorità nazionali, delle condizioni comuni minime risultanti, in particolare, da detto regolamento.

La Corte inoltre rileva che, in forza del considerando 61, la Commissione dovrebbe essere responsabile dell’adozione delle decisioni relative alla registrazione: tale responsabilità finale può essere assunta solo a condizione di poter esercitare un potere autonomo di valutazione, senza essere vincolata dalle valutazioni effettuate dalle autorità nazionali.

Pertanto, sul motivo sub 2, la Corte stabilisce come sia stato corretto il percorso argomentativo del Tribunale UE in quanto la Commissione non avrebbe oltrepassato i limiti della sua competenza nel verificare, in applicazione dell’articolo 50 del regolamento n. 1151/2012, se le condizioni per la registrazione di un nome fossero soddisfatte, non essendo vincolata alla decisione di un organo giurisdizionale nazionale passata in giudicato.

Sul motivo sub 1, per la Corte è vero che l’articolo 13, paragrafo 3 del regolamento precisa che gli Stati membri prevengono e fanno cessare l’uso di nomi che evocano un nome registrato come DOP o IGP, prodotti o commercializzati nel loro territorio: accertamento condotto mediante una valutazione globale delle autorità nazionali che comprende l’insieme degli elementi rilevanti della causa (in tali termini la sentenza del 9 settembre 2021, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, C-783/19, EU:C:2021:713, punto 60). Tuttavia, come ricordato dal Tribunale al punto 42 della sentenza impugnata, l’articolo 50, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 esige che la Commissione esamini se la domanda di registrazione soddisfi le condizioni di tale regolamento.

Orbene, dal momento che un nome evocativo di un nome già registrato non è conforme all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1151/2012, esso non può beneficiare della protezione prevista da detto regolamento. Infatti, il requisito derivante dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento, secondo il quale, per essere ammissibile alla registrazione, il nome deve essere menzionato nel disciplinare contenuto in tale domanda quale «utilizzat[o] nel commercio o nel linguaggio comune», implica necessariamente un utilizzo che esuli da qualsiasi violazione delle disposizioni del regolamento stesso.

Inoltre, l’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento n. 1151/2012 prevede espressamente che un nome proposto per la registrazione che sia in tutto o in parte omonimo di un nome già iscritto nel registro stabilito a norma dell’articolo 11 del regolamento in parola non possa essere registrato, a meno che nella pratica sussista una differenziazione sufficiente tra le condizioni d’impiego e di presentazione locali e tradizionali del nome omonimo registrato successivamente e quelle del nome già iscritto nel registro. In base a tale disposizione, il rispetto della protezione concessa a un nome precedentemente registrato figura tra le condizioni di registrazione che la Commissione è tenuta a verificare ai sensi dell’articolo 50, paragrafo 1, del regolamento medesimo.

Pertanto, prima di adottare una decisione di registrazione, la Commissione è tenuta a verificare che il nome di cui si chiede la registrazione non pregiudichi la protezione di cui beneficia, in tutta l’Unione, un altro nome già registrato. Pertanto, per la Corte, correttamente ha stabilito il Tribunale UE nel 2023 nell’affermare che spettava alla Commissione verificare che l’utilizzo dei nomi candidati alla registrazione non violasse la protezione contro l’evocazione prevista all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1151/2012 di cui beneficia un nome registrato come DOP.

Tale conclusione non è smentita dall’argomento dei ricorrenti secondo cui tale valutazione del Tribunale equivarrebbe a mettere in discussione il principio di una coesistenza tra un nome registrato come DOP e un nome registrato come IGP in quanto può sussistere un rischio di evocazione indipendentemente dal regime di cui beneficiano i nomi già registrati e quello per il quale i nomi sono candidati alla registrazione. È infatti pacifico che la nozione di «evocazione» si riferisce all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione stessa (sentenza del 9 settembre 2021, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, C-783/19, EU:C:2021:713, punto 55).

Sul motivo sub 3, i ricorrenti contestano le valutazioni attinenti al rischio di evocazione effettuate dal Tribunale. Per la Corte, tuttavia, tali valutazioni di natura fattuale non possono essere messe in discussione in sede di impugnazione.

Sul motivo sub 4, il rischio di evocazione si configura quando l’uso di una denominazione produce, nella mente di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, un nesso sufficientemente diretto e univoco tra tale denominazione e la DOP. Fra gli elementi rilevanti: l’incorporazione parziale della denominazione protetta, l’affinità fonetica e visiva tra le due denominazioni e la somiglianza che ne deriva, e anche in assenza di tali elementi, la vicinanza concettuale tra la DOP e la denominazione di cui trattasi o ancora una somiglianza tra i prodotti protetti da tale medesima DOP e i prodotti o servizi contrassegnati da tale medesima denominazione. Nell’ambito della valutazione effettuata dalla Commissione, occorre che essa tenga conto dell’insieme degli elementi pertinenti che caratterizzano l’uso della denominazione di cui trattasi (sentenza del 9 settembre 2021, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, C-783/19, EU:C:2021:713, punto 66). E tra questi, secondo la Corte, il Tribunale ha correttamente stabilito che la differenza di prezzo tra i prodotti protetti come DOP e i prodotti per i quali è chiesta la registrazione di un nome quale IGP non è di per sé determinante per escludere l’evocazione.

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